Il trascorrere del tempo viene in rilievo, nella dinamica dei rapporti fra soggetti e istituti di credito, in relazione ai mezzi di pagamento, anche per una problematica che, proprio in quest’ultimo periodo, ha suscitato un ampio dibattito. Si tratta della ben nota, e non sempre correttamente impostata, vicenda dell’anatocismo. Dal punto di vista qui assunto, il tempo rileva in relazione essenziale con le scadenze che la banca assume nel rapporto di conto corrente con il proprio cliente. La problematica nasce dal fatto che, nell’uso bancario, per ogni somma che l’istituto anticipa al cliente affidato, viene calcolato un interesse trimestrale, liquidato ed esatto dalla banca sulla base dei tre mesi di calcolo. Viceversa, per la maturazione degli interessi passivi per la banca, quest’ultima li liquida nell’arco temporale di un anno. Ora, il calcolo trimestrale degli interessi comporta che essi si vadano ad assommare al capitale debitorio, producendo altri interessi. È appunto il fenomeno dell’anatocismo
La questione è sorta a seguito di tre sentenze della Suprema Corte, con le quali si è sancita la nullità della clausola negoziale con la quale le banche dispongono la trimestralizzazione del calcolo degli interessi a debito del correntista. Con queste sentenze, i giudici hanno indubbiamente prodotto un révirement rispetto al passato, perché l’anatocismo in tal senso era stato ampiamente ammesso dalla prevalente giurisprudenza. Il cambiamento di interpretazione da parte del Supremo Collegio, invece, è consistito nell’affermare testualmente che «la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale ma non su una vera e propria norma consuetudinaria, è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi».'” Gli argomenti posti a base del nuovo orientamento sono essenzialmente due. In base al primo, non è dato rilevare, ad avviso dei giudici, che al momento dell’entrata in vigore del codice del 1942, esistesse in effetti un uso normativo nel senso della capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico dei clienti delle banche, posto che la capitalizzazione trimestrale sarebbe stata prevista per la prima volta dalle norme bancarie uniformi del 1952 e ugualmente dopo quest’ultima data sarebbero stati accertati usi, peraltro solo locali, in tal senso. In base alla seconda considerazione, i giudici rilevano che nella prassi bancaria dell’anatocismo non si avrebbe quella «spontanea adesione ad un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste rapini° iuris ac necessitatis che connota l’uso normativo, posto che l’inserimento nei contratti bancari delle clausole che prevedono l’anatocismo trimestrale è acconsentito da parte dei clienti non in quanto ritenute conformi a norme di diritto oggettivo già esistenti o che sarebbe auspicabile che fossero esistenti nell’ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito (…) insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituisce al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari».'”
Indubbiamente, le sentenze dei giudici del Supremo Collegio hanno accolto una serie di indicazioni che erano provenute da più parti, sulla singolare “sfasatura” temporale fra periodo di liquidazione degli interessi attivi e periodo di liquidazione degli interessi passivi. Inoltre, essi hanno fornito un’interpretazione lineare del fenomeno anatocistico, facendo riferimento a quanto prevede espressamente il più volte citato art. 1283 c.c. La realtà è che, però, l’impostazione seguita dalla Corte ha suscitato più dubbi che adesioni. Tralasciando varie critiche che si sono soprattutto incentrate sul problema della natura delle C.B.U., ci soffermiamo invece sull’impostazione di un’autorevole dottrina, la quale invece critica soprattutto l’accoglimento, da più parti, di una concezione dell’anatocismo legata alla struttura del contratto di conto corrente bancario.
Si parte dalla costruzione del contratto di conto corrente bancario, inteso quale «contratto dotato di una sua propria, specificanatura autonoma e funzione centrale nel rapporto banca-cliente». Esso assolve ad una funzione fondamentale nel sistema del commercio: quella di consentire la regolazione dei rapporti di dare e avere tra cliente e banca tramite annotazioni e non dazioni di moneta legale.
Partendo da questo assunto, la dottrina citata rileva che per anatocismo si deve intendere essenzialmente e tecnicamente l’operazione in base alla quale il creditore che non riceve il pagamento dovuto imputa al capitale il tasso di interesse non riscosso, il quale, a sua volta, produrrà altri interessi. Ma, nella struttura dei rapporti che si instaurano fra correntista e banca, non avviene nulla di tutto ciò. In realtà, ad avviso della dottrina citata, la categoria dell’anatocismo bancario non esiste. Infatti, l’interpretazione che deve darsi della norma posta dall’art. 1283 c.c. è che gli interessi scaduti di cui in essa si parla rappresentano il corrispettivo del godimento di una somma di denaro per almeno sei mesi; una previsione relativa a periodi più brevi praticamente vanificherebbero la stessa previsione normativa. Ora, tale corrispettivo che gli interessi soddisfano non può essere supposto nel conto corrente bancario, perché in quest’ultimo «è del tutto naturale che l’ammontare sul quale si formano gli interessi (cioè il saldo che muta ad ogni annotazione) vari continuamente, onde ad esempio interessi maturati ad una scadenza semestrale possono derivare dall’utilizzo dell’intero fido accordato, ma soltanto per un solo mese, ad esempio il secondo del semestre».107 Ciò dovrebbe indurre a ritenere che la disciplina dell’anatocismo sia stata specificamente configurata per il mutuo.
Bisogna osservare che non ha molto senso ritenere, come ha fatto la Cassazione, che la c.d. «capitalizzazione degli interessi» su base trimestrale sia nulla di per sé, in quanto stabilita anteriormente alla scadenza degli stessi. Infatti, ove il conto abbia una giacenza capiente — cioè in grado di coprire interamente l’ammontare degli interessi scaduti — non si può ritenere di trovarsi di fronte ad un fenomeno anatocistico, in quanto la banca introiterà il corrispettivo in interessi annotando una diminuzione del saldo contabile del proprio cliente. Ma anche nel caso in cui il saldo del correntista sia dovuto solamente ed esclusivamente ad un affidamento da parte dell’istituto bancario, non si può parlare propriamente di anatocismo. In realtà, è necessario considerare la struttura del conto e del saldo disponibile che la banca rileva contabilmente: «Quello che può aver offuscato la corretta percezione del fenomeno è il fatto che il “saldo disponibile” (…) che in ipotesi di consistenza di giacenze del cliente e di “fido” concesso dalla banca risulta dalla sommatoria di due posizioni, non è riportato negli estratti conto delle banche, estratti che evidenziano con chiarezza assoluta soltanto il saldo contabile (…). Consegue che un’affrettata lettura del documento relativo ad un conto corrente affidato, nell’ipotesi di un’annotazione di interessi a carico del cliente (annotazione che in ipotesi aumenti un importo a debito del cliente già esistente) ben può dare l’impressione di un debito per interessi che si aggiunge al debito esistente, cioè di un debito per interessi che si “capitalizza”». Concepito il saldo contabile in questo modo, in realtà non ci si trova di fronte ad un fenomeno anatocistico, perché, invece, ci si trova di fronte ad una «utilizzazione del fido concesso», con la conseguente annotazione di «una diminuzione del “saldo disponibile”» che risulta essere «estintiva del debito di interessi nei confronti della banca».
Nonostante questa serrata critica da parte della dottrina, il legislatore ha ritenuto necessario predisporre uno strumento normativo atto a superare il problema evidenziato dalle sentenze della Cassazione. Com’è noto, la decisione è stata presa anche sull’onda di una miriade di ricorsi organizzati dalle associazioni dei consumatori, tendenti a chiedere giudizialmente la ripetizione dell’indebito da parte di decine di migliaia di contraenti ai quali gli istituti di credito avevano applicato il calcolo trimestrale degli interessi.
Con il d. lgs. 4 agosto 1999, n. 342, il Governo si avvaleva della delega conferita dal Parlamento con la legge n. 128/1998 modificando il t.u. delle leggi bancarie ed introducendo regole specifiche in materia di anatocismo nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria. In particolare, l’art. 25 del decreto legislativo citato, intervenendo sull’art. 120 t.u. bancario, demandava al Cicr il «compito di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi», imponendo tuttavia alle banche, relativamente alle operazioni regolate in conto corrente, di assicurare nei confronti della clientela «la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori». La norma prevedeva, poi, una fase di transizione nella quale dovevano considerarsi validi i patti considerati anatocistici; alla data di approvazione della delibera del Cicr, essi sarebbero divenuti automaticamente inefficaci. Su questa parte della norma si sono addensati numerosi sospetti di incostituzionalità, da un lato ritenendo esistente un eccesso di delega, dall’altro considerando la disciplina incostituzionale da un punto di vista propriamente sostanziale.
La Corte ha accolto la prima censura di incostituzionalità, dichiarando la illegittimità dell’art. 25, 3° comma del d. lgs. 4 agosto 1999, n. 342 «nella parte in cui stabilisce in maniera indiscriminata la validità ed efficacia delle clausole relative alla produzione di interessi anatoci-stici, contenute nei contratti bancari stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del comitato interministeriale per il credito e il risparmio prevista dal 2° comma dello stesso articolo».
Risulta essere stata considerata, dunque, contraria all’art. 76 Cost. la decisione del legislatore di sostituirsi al giudice e operare una sanatoria, considerata dalla Corte indiscriminata, dei contratti stipulati precedentemente alla delibera del Cicr cui la stessa legge demanda la regolamentazione in dettaglio della capitalizzazione degli interessi.
Il Cicr è intervenuto in materia con la delibera 9 ottobre 2000, la quale, in applicazione del principio sancito dalla legge delega, ed in particolar modo per quanto concerne i conti correnti bancari, ha stabilito che «nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori» (art. 2, 2° comma). Inoltre, «il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto corrente può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica». In questo modo è stato ufficialmente sancito il divieto di calcolo trimestrale degli interessi debitori senza prevedere un’uguale periodizzazione di quelli creditori. Inoltre, è stata sancita l’applicabilità della disciplina codicistica sull’anatocismo anche al contratto di conto corrente bancario (art. 5 delib. Cicr 9 ottobre 2000), che parte della dottrina, come abbiamo visto, tendeva ad escludere, ritenendola applicabile esclusivamente al mutuo.