Nel post precedente avevo promesso di parlare dell’uso degli stili sociali nella negoziazione. Per farlo, definiamo innanzi tutto cos’è una negoziazione e quando si procede per questa strada.
Spesso si pensa che la negoziazione avvenga solo quando si deve stipulare un contratto, un importante accordo commerciale o tra Paesi che aprono una trattativa, un po’ come dovrebbe essere tra Italia e Austria in questo periodo. Sì, sono (o almeno dovrebbero essere) negoziazioni, ma se impariamo il vero valore di cosa significa negoziare possiamo farlo anche noi, quasi tutti i giorni.
Il primo punto da comprendere è che negoziare vuol dire raggiungere un accordo, ma non un compromesso.
Trovare un compromesso, anche in una situazione familiare, significa che ci si ritrova in due posizioni distanti e ciascuno rinuncia a qualcosa per trovare un accordo a metà strada. Ciascuno ottiene qualcosa e, contemporaneamente, sacrifica qualcos’altro. Al momento sembra tutto a posto: accordo raggiunto. Ma a lungo termine quel sacrificio, anche se piccolo, può pesare, e anche tanto. In pratica, un compromesso è sempre nella logica di vincere o perdere, anche se un po’ si vince e un po’ si perde.
Nella negoziazione non è così. Anche qui si raggiunge un accordo, ma l’accordo rimane valido e addirittura migliora a lungo termine. Ecco, per essere più chiara vi faccio un esempio e vi racconto una storia. Mettetevi comodi.
Tanti anni fa, negli anni ’90, ho conosciuto colui che oggi è mio marito. Eravamo giovani o, per essere più precisi, io ero abbastanza giovane e lui era un po’ più adulto, già con un matrimonio fallito alle spalle. Avevo un ottimo lavoro e una bella vita da single, una casa mia, e ho sempre amato viaggiare. Anche lui amava andare all’estero, ma il suo concetto di vacanze erano tre o quattro settimane al mare in un’isola greca o in Corsica. Le mie vacanze erano a zonzo per Islanda, Malawi, sperdute isolette a nord della Russia.
Per qualche anno non ci sono stati problemi: al momento delle vacanze ognuno andava per la propria strada. Però un anno sono tornata dall’India, a Ferragosto, con un febbrone da cavallo. Siamo volati al pronto soccorso dell’Ospedale Sacco di Milano: non è proprio il posto migliore dove trascorrere il 15 agosto. Per fortuna non era nulla, ma al ritorno … ricordo ancora perfettamente la faccia del mio compagno. “è l’ultimo anno che fai le vacanze da sola in giro per il mondo!”
Che dire? Era perfettamente chiaro e comprensibile che si fosse spaventato (mi ero spaventata anch’io!), ma per me rinunciare ai viaggi era quasi impensabile e sapevo che avrei potuto accettare vacanze diverse per un anno, al massimo due, ma poi mi sarei ribellata alle vacanze e probabilmente anche a lui.
Era il momento di negoziare.
Così ho spiegato cosa significava per me viaggiare: la libertà, la curiosità di vedere posti nuovi, conoscere culture diverse, staccare completamente dalla vita quotidiana. Ho spiegato perché non mi sarebbe bastato andare all’estero e poi stare ferma a prendere il sole e neanche fare il tipico viaggio organizzato con un mucchio di persone, in pullman, dover aspettare gli altri per ore … Nelle mie vacanze volevo poca gente intorno perché ne frequentavo già troppa per lavoro.
Lui, altrettanto onestamente, mi ha spiegato le sue ragioni profonde e anche le sue perplessità verso certi viaggi o certi Paesi.
È stata una conversazione lunga, intima, senza pregiudizi o preconcetti. E da lì siamo partiti, accantonando entrambe ciò che volevamo per trovare cosa andava bene, dimenticando ogni schema preconcetto.
Abbiamo deciso di esplorare, insieme, poco a poco. Così il primo anno siamo andati in Scozia, a zonzo, con gli amici. Poi, per mesi, abbiamo studiato viaggi e agenzie, ciascuno da solo cercando un viaggio soddisfacente e un modo di viaggiare altrettanto piacevole, ognuno secondo i suoi criteri, ma ricordando bene anche i desideri profondi dell’altro.
Così per le vacanze successive siamo andati in Sud Africa con un’agenzia specializzata in viaggi fuori dai percorsi ordinari, con gruppi piccoli.
E abbiamo parlato ancora. E poi ci sono stati il Botswana, il Mozambico, la Namibia, il Malawi, la Patagonia, e anche l’Olanda, la Francia ….
Nessuno di noi due sente di aver sacrificato alcunché, anzi. Abbiamo conquistato una condivisione delle vacanze che, inizialmente, non pensavamo di poter avere. E se pensate che abbia ceduto lui perché molte mete sono state in altri continenti, sappiate che ogni Paese è stato liberamente deciso da lui. Certo, se io non avessi amato quelle mete, non ci avrebbe mai pensato, ma la scoperta gli è piaciuta talmente tanto che ancora mi ringrazia.
Torniamo quindi a noi.
Una negoziazione funziona a lungo termine e, spesso, migliora col passare del tempo.
Nessuno vince o perde, sacrifica o guadagna.
Ciascuno, però, mette in gioco se stesso e la totalità della decisione. Si esprimono le richieste, cercando di scoprire in se stessi e nell’altro i bisogni profondi, quelli che magari talvolta non confessiamo neanche a noi stessi. E poi si accantonano le richieste, e si riparte da capo, cercando una soluzione totalmente nuova, comune, senza preconcetti e pregiudizi.