Le modalità di espressione della critica: il principio di “continenza formale” e di pertinenza.
Alla luce del quadro normativo di riferimento, viene considerata illecita la critica espressa non in forma moderata, ma con modalità lesive dell’immagine e del decoro del datore di lavoro. Assume cioè rilievo fondamentale il principio di continenza formale, relativo alla “correttezza e civiltà” delle forme espressive utilizzate, in base al quale la manifestazione del pensiero deve rispettare forme linguistiche, sia scritte che verbali, che evitino frasi denigratorie, o scurrili, che risultino offensive e diffamatorie.
Tale limite, peraltro, non esclude la liceità della critica aspra, essendo “attenuato dalla necessità, ad esso connaturata, di esprimere le proprie opinioni e la propria personale interpretazione dei fatti, anche con espressioni astrattamente offensive e soggettivamente sgradite alla persona cui sono riferite”.
Secondo la giurisprudenza, è però illecita la critica che non sia improntata a leale chiarezza; la critica, cioè, che ricorra al ‘sottinteso sapiente’, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionalmente scandalizzato e sdegnato, specie nei titoli di articoli o pubblicazioni, o, comunque, all’artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre, nonché alle vere e proprie insinuazioni.
Si differenzia da questo tipo di forma espositiva la satira, il cui linguaggio, “essendo inteso, con accento caricaturale, alla dissacrazione ed allo smascheramento di errori e di vizi di una o più persone, è essenzialmente simbolico e paradossale”, anche se non per questo può recare pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro di chi ne è oggetto.
La critica non veritiera, principio di continenza sostanziale.
Il diritto di critica deve essere esercitato nel rispetto del principio di “continenza sostanziale”, in base al quale i fatti narrati devono corrispondere a verità, cioè ai fondamentali criteri di veridicità ed obiettività. La critica non veritiera è pertanto considerata illecita.
Il lavoratore deve quindi astenersi da accuse avventate, “soppesando” l’effettiva consistenza degli elementi in proprio possesso prima di dare “pubblica risonanza a presunte o reali responsabilità, di rilievo anche penale, che valgono a screditare l’immagine del datore di lavoro” e “sono suscettibili di provocare un danno economico, in termini di perdite di commesse o di occasioni di lavoro”.
Come si vede, la giurisprudenza ha tendenzialmente esteso al diritto di critica nel rapporto di lavoro i limiti individuati con riferimento alla diffamazione a mezzo stampa, sancendo l’illiceità delle espressioni di critica caratterizzate da intrinseca natura diffamatoria.